Avvocato Domenico Esposito
 

 

NON E' POSSIBILE RICORRERE IN CASSAZIONE CONTRO IL DECRETO DI ARCHIVIAZIONE

Il decreto di archiviazione del GIP, a seguito di richeista del PM, non è ricorribile per cassazione. Il rimedio, pur ammesso da una precedente giurisprudenza, viene escluso sia per il principio di tassativita' dei mezzi di impugnazione. Il decreto di archiviazione può essere invece revocato se ne sussistono i presupposti (es., indicazione di prove nuove)

 

Cassazione penale, sez. V 18/10/2002 n. 40484 (data dep. 29 novembre 2002)
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Quinta sezione penale

ha pronunziato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da S. G., nato a Palermo 9.3.1967
avverso il provvedimento del giorno 11.5.2000 del GIP preso il Tribunale di Firenze con il quale è stata disposta la archiviazione nel proc. 4912-2000
visti gli atti, ed il procedimento, udita in la relazione del consigliere dott. Maurizio Fumo,
Letta la requisitoria del PG, il quale ha concluso chiedendo l'annullamento del decreto impugnato e la trasmissione degli atti al PM competente

Fatto e diritto

............................ ricorre avverso il provvedimento del GIP presso il Tribunale di Firenze del giorno 11.5.2000, con il quale è stata disposta la archiviazione nel proc. pen. 4912-2000, deducendo violazione di legge processuale.
Osserva il ricorrente che, contrariamente al vero, nella richiesta di archiviazione avanzata dal PM si legge che la PO non avrebbe formulato richiesta di avviso ex comma II art. 408 cpp. Tale richiesta viceversa esiste ed è stata inserita in calce alla nomina del difensore (avv. La S.), datata 13.3.2000 e depositato il 17 di quello stesso mese (e dunque in data precedente al provvedimento del GIP).

Dall'esame degli atti, reso necessario dalla natura del ricorso, si evince che effettivamente, prima che il PM formulasse la sua richiesta di archiviazione (5.5.2000), il ........................... avanzò la richiesta di cui al comma II dell'art. 408 cpp.

Rileva tuttavia accertare se, quando si procede per fattispecie criminose lesive dell'interesse della collettività, anche il singolo danneggiato sia legittimato ad avanzare tale richiesta e se dunque il GIP fosse tenuto alla notifica.

Al proposito si rinvengono contrastanti orientamenti nella giurisprudenza di legittimità.

Invero con, riferimento al delitto di abuso di ufficio, la sesta sezione, con sentenza n. 1147 depositata il 27 maggio 1999, ric. T. G. e altri, ................................. 214749, ha affermato che, quando il reato sia commesso per arrecare ad altri un danno, è lesa, oltre che la sfera giuridica della pubblica amministrazione, anche quella del privato: in tal caso il reato è plurioffensivo, con la conseguenza che la persona offesa ha il diritto di ricevere l'avviso di richiesta di archiviazione.

Tale decisione è conforme a vari precedenti (sez. VI, n. 1236, c.c. 13 maggio 1999, V., RV. 213479; sez. VI, n. 3508, c.c. 11 novembre 1998, M., RV. 212318; Sez. VI, n. 1106, c.c. 13 marzo 1997, P., RV 207933), ma si pone in contrasto con altro consistente orientamento di legittimità (sez. VI, n. 17, c.c. 13 gennaio 1998, P. in proc. A., RV 210831; Cass.; sez. II, n. 3529, c.c. 23 maggio 1997, B., RV 209425; sez. VI, n. 3513, c.c. 15 novembre 1996, V. e altri, RV 208661; sez. VI, n. 2319, c.c. 11 giugno 1996, A. e altri, RV 205892), secondo il quale persona offesa è solamente la pubblica amministrazione, con la conseguenza che il privato danneggiato non riveste tale qualità: quest'ultima non ha quindi diritto di ricevere la notificazione dell'avviso di richiesta di archiviazione del pubblico ministero e non può proporre opposizione alla stessa.

Con riferimento poi ai reati contro l'amministrazione della giustizia, la sezione quinta, con sentenza n. 4627 del giorno 8.11.2000, ric. M., RV 217936, ha decretato che la facoltà di proporre opposizione alla richiesta di archiviazione spetta esclusivamente alla persona offesa, e non anche al semplice danneggiato dal reato, pur se denunziante; non è pertanto legittimato a proporre opposizione colui che abbia presentato denunzia per i delitti di falsa testimonianza e frode processuale, trattandosi di reati che ledono l'interesse al corretto funzionamento della giustizia, relativamente al quale, l'interesse del privato (che, da un esito processuale sfavorevolmente condizionato dalla commissione dei predetti reati, possa ricevere pregiudizio) assume rilievo solo riflesso e mediato, tale da non consentire che al soggetto titolare sia attribuita la qualità di persona offesa.

Tuttavia, in tema di delitti contro la fede pubblica, la stessa quinta sezione ha diversamente opinato, giungendo ad affermare (sent. n. 25143 del 12.3.2001, ric. P. in proc. A. RV 219472) che in tale ipotesi, la facoltà di proporre opposizione alla richiesta di archiviazione può competere anche al denunziante. Tale categoria di reati infatti, si sostiene in sentenza, essendo idonea a ledere anche la sfera giuridica dei soggetti nei cui confronti l'atto, il documento o la falsa dichiarazione vengono fatti valere, ha carattere plurioffensivo; ciò li rende - si sostiene - non assimilabili, sotto tale profilo, ai delitti contro la amministrazione della giustizia. Questi ultimi integrano fattispecie lesive dell'interesse della collettività al corretto procedere della giurisdizione, con la conseguenza che l'interesse del privato può assumere rilievo solo riflesso e mediato.

Tale ultimo orientamento, tuttavia, ritiene questo Collegio, re melius perpensa, non possa essere seguito.

E ciò per due ordini di ragioni: a) innanzitutto, perché anche i delitti contro la fede pubblica, come quelli contro la amministrazione della giustizia, offendono in maniera diretta un interesse collettivo (pubblico appunto): quello alla "fiducia che la società ripone negli oggetti, segni e forme esteriori ai quali l'ordinamento giuridico riconosce un valore importante" (cfr. Relaz. minist. al progetto sul codice penale, II-242) e, solo di riflesso, quello del singolo, che risulta (può risultare) danneggiato dalla condotta del trasgressore; b) in secondo luogo, in quanto la possibilità di impugnare in sede di legittimità la omessa osservanza del dettato del comma II dell'art. 408 cpp è stata ritenuta dalla giurisprudenza, ma non è espressamente disposta dal cpp (sez. quinto n. 741 dell'11.2.2000, ric. M., RV 215754).

Deve ritenersi dunque non consentito, sulla base di una mera costruzione giurisprudenziale, operare una interpretazione estensiva, che ulteriormente dilati, disapplicando il principio di tassatività dei mezzi e dei casi di impugnazione, le possibilità di ricorrere contro un provvedimento, quello di archiviazione, che, essendo pronunziato allo stato degli atti, appare comunque passibile, quando ne ricorrano le condizioni, di essere revocato.

La considerazione si attaglia al caso di specie, relativo appunto ad un delitto di falso. Consegue che il ricorso va dichiarato inammissibile ed il ricorrente condannato alle spese del grado ed al versamento di somma a favore della Cassa ammende, somma che si stima equo fissare in euro 500.

p.q.m.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed a quello della somma di cinquecento euro a favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, camera di consiglio, in data 18 X 2002
Depositata in cancelleria il 29.11.2002